JOHANN
SEBASTIAN BACH: Toccata e Fuga in Re minore – BWV 565
Il nome di Johann
Sebastian Bach e l’organo stesso, per molti, è strettamente legato a questa
famosissima composizione. Essa rappresenta una straordinaria manifestazione del
Bach giovane, probabilmente anteriore anche al periodo di Weimar. Su questa
composizione tanto ardita quanto ricca di un’immediata evidenza musicale, piena
di effetto e straordinariamente dotata di un eclettismo stilistico che non
evidenzia momenti di squilibrio né fratture interne, si è sviluppata gran parte
della popolarità dell’opera organistica bachiana, sicuramente a scapito di
altre composizioni che avrebbero meritato maggiore attenzione.
Essa è stata
oggetto sia di trascrizioni o elaborazioni pianistiche (basti pensare a quelle
di Tausig e di Busoni) che orchestrali (una fra tutte quella di Stokowsky).
Tali trascrizioni hanno contribuito a deviare il corso logico di un’opera alla
quale non si può né si deve chiedere l’esercizio di un ruolo incantatorio,
magico, rituale, di un’opera cui non è lecito attribuire connotati di simbolo
né, tantomeno, di summa. In realtà la pagina è una manifestazione dell’arte
organistica della scuola della Germania del Nord i cui maggiori rappresentanti
(Buxtehude, Bruhns, Reinken, Lübeck, ecc.) hanno avuto come obiettivo quello di
risolvere il problema di un virtuosismo tanto più penetrante ed impressionante,
quanto più costruito con mezzi semplici, di facile accesso, molto vicini ad
un’arte improvvisativa che allontana da sé le grandi architetture formali e
contrappuntistiche[1].
Questa composizione, di indubbia efficacia melodica, ha avuto, sicuramente, un
suo grande successo anche all’epoca di Bach stesso il quale la eseguiva nei suoi numerosi viaggi nelle
piccole corti tedesche.
Il Pirro riscontra in
questo brano una sorta di musica a programma ed afferma: “L’abbagliamento di
due rapidi lampi, un colpo di tuono, rimbombante formidabilmente nelle
ripercussioni di un accordo lungamente disgiunto, e sul fragore, accresciuto
nella sua durata, di un pedale profondo: il vento, poi la grandine: siamo in un
classico temporale”.
Meno descrittivo e più
analitico è il commento di Philip Spitta il quale scrive: “Le parti costitutive
sono passaggi intermittenti in stile recitativo, accordi ampiamente risonanti e
passaggi continui sui differenti manuali, che sono ordinati in contrasto”[2].
Il debito di Bach nei
confronti dei grandi Maestri della Germania del Nord, ma anche di altri toccatisti
quali Frescobaldi, Pachelbel, Andrea e Giovanni Gabrieli è molto evidente: egli
riesce a fare una grande opera di sintesi fondendo le brillanti e luminose
trovate dei veneziani, coi pesanti e massicci disegni della scuola tedesca, le
libere escursioni toccatistiche degli italiani, con il rigore dei fugati degli
autori del Nord.
Il giovane Bach ha qui voluto dare una dimostrazione di
potenza con l’utilizzo di tutti quegli artifici che esaltano la musica, non
tanto per la forza dell’ispirazione quanto e soprattutto per quella
esasperazione tecnica che unisce gli elementi più disparati del comporre:
incisi vivaci, trilli squillanti, scale velocissime, terzine vorticose, silenzi
ad effetto, accordi poderosi, note ribattute in contrattempo, ecc.. Nessuna elaborazione
orchestrale, per questo, potrà mai rendere l’efficacia della potenza
dell’organo le cui possibilità foniche sono tutte chiamate in causa, dalle
piccole tenui mutazioni, fino alle grandiose sonorità prodotte dalle torri dei
pedali[3].
L’estrema libertà con
la quale si sviluppa la composizione rivela una struttura assai elementare la
quale serve a darne un particolare connotato di drammaticità. Quello che
maggiormente colpisce di questa composizione giovanile di Bach, tuttavia, non è
tanto l’ardimento tecnico ed il suo carattere virtuosistico quanto il solenne
dinamismo e la potente sicurezza timbrica con i quali la linea melodica viene
continuamente arricchita.
Pur rimanendo negli
stilemi caratteristici della grande scuola organistica della Germania del Nord,
in questa composizione si riscontra una stupefacente fantasia. Il discorso
musicale è sempre logico ed unitario, i passaggi si innestano vicendevolmente
con grande maestria ed il gioco polifonico risulta essere sempre fresco e
scevro da ogni rigore accademico.
Al carattere
improvvisativo della toccata fa seguito il tema della fuga in sedicesimi capace
di dare vita quasi ad un perpetuum mobile
che conferisce all’opera un’animazione insolita. La fuga culmina con un
episodio finale che, per caratteristiche, si richiama alla toccata.
La
composizione, anche se è definita come un dittico, ha, di fatto, una struttura
tripartita che si apre con una toccata cui fa da episodio centrale la fuga e si
chiude con un definitivo episodio toccatistico.
Partitura |
Toccata e Fuga BWV 565 |
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