mercoledì 8 giugno 2016

Preludio al Corale “Nun komm, der Heiden Heiland” – BWV 659


 
JOHANN SEBASTIAN BACH: Preludio al Corale “Nun komm, der Heiden Heiland” – BWV 659

Johann Sebastian Bach ha realizzato varie elaborazioni organistiche sul tema del Nun Komm, der Heiden Heiland. Esse sono presenti nelle raccolte di corali più importanti del Kantor e variano dalla fughetta, al corale ornato, al corale in trio ecc. La composizione di questi brani spazia lungo tutta la vita di Bach.

 
I 18 corali dell’Autografo di Lipsia rivelano un Bach più umano, più immediato, dal discorso abbondante e fluente, dal linguaggio più accessibile anche al profano. I corali di Lipsia sono un’esaltante esperienza spirituale, un’onda sonora dai colori smaglianti che trascina con sé un materiale immenso di tecnica, di ispirazione e di dottrina[1].


La prima elaborazione presente  nell’Autografodi Lipsia relative al corale Nun Komm, der Heiden Heiland  è un corale ornato con il cantus firmus al soprano. Senza ombra di dubbio questo è il preludio corale più conosciuto di Johann Sebastian Bach.

Il corale è un ingegnoso arabesco con amplificazione melodica, ricco di melismi e di abbellimenti di ogni genere[2].


La melodia è divisa in quattro segmenti, dei quali il primo e l’ultimo sono identici: conformandosi a questo schema, Bach configura la ripresa della melodia al medesimo modo dell’esposizione, con poche varianti nell’ornamentazione e con un prolungamento nella fioritura a mo’ di cadenza; l’accompagnamento, invece, è diverso, come esige lo stile della fantasia, adottato in questo corale: esso è formato da un fitto gioco contrappuntistico ricco di precisi richiami alla melodia del canto fermo[3]. Il movimento è processionale, solenne, palese traduzione del cammino glorioso del “Salvatore dei pagani”; la scansione regolare, lineare, ostinata del pedale non ha solo funzione meccanica di sostegno (basso continuo), ma svolge un compito espressivo di fondamentale importanza[4]:esso è un vero e proprio perpetuum mobile che procede quasi sempre per gradi congiunti.

            Questa elaborazione presenta diverse analogie con il corale di Buxtehude: Bach, così come il grande maestro di Lubecca, preannuncia nelle voci inferiori, con delle allusioni, la successiva frase del cantus firmus e termina il brano con una cadenza libera di tre battute al soprano. Vi sono però anche due aspetti che costituiscono altrettante differenze sostanziali tra i due brani: in Buxtehude il basso è abbastanza semplice, un basso che solo all’inizio suggerisce la discesa del Signore sulla terra; Bach, invece, utilizza il cosiddetto “basso andante”, un basso che trae origine dalla scrittura per strumenti ad arco, con figurazioni abbastanza lunghe e con i valori delle note che sono quasi sempre uguali.



            L’altra differenza sostanziale tra le due composizioni è la prassi dell’ornamento per la mano destra. Mentre Buxtehude utilizza sui tempi forti, in battere, le note reali del cantus firmus, per lasciare agli ornamenti i tempi deboli, Bach fa una cosa diversa: inizia con il canto fermo ma, poi, invece di continuare, si perde completamente; il canto fermo è diluito in una sorprendente abbondanza di ornamenti molto concentrati e molto estesi. C’è un momento in cui i due corali sembrano assomigliarsi un poco: è l’ornamento della terza frase del cantus firmus. Il testo di questa terza frase, nella prima strofa, parla di tutto il mondo sbigottito davanti alla profondità del mistero di un uomo nato da una vergine: tutta l’umanità, dunque, è sorpresa da questo fatto incredibile. Ad esprimere il concetto della moltitudine dell’umanità, nel brano di Buxtehude compaiono improvvisamente una gran quantità di semicrome; la stessa soluzione si riscontra nel brano bachiano.

Può essere interessante rimarcare come Bach utilizzi in questa elaborazione di Nun Komm, der Heiden Heiland, anche ornamenti che non si trovano in Buxtehude. Si tratta di ornamenti di tipo francese, che Muffat chiama tremulus reflectus: si tratta di un trillo che comincia con la nota superiore, va alla nota reale, tocca per una volta la nota inferiore, per fermarsi infine sulla nota reale: Bach scrive per esteso questo abbellimento[5].


Di questo Corale esiste una versione alternativa più antica che reca il titolo di “Fantasia”; le varianti riguardano quasi esclusivamente la linea melodica che, soprattutto nella parte centrale, è stata genialmente ritoccata.







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Partitura





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Preludio al Corale “Nun komm, der Heiden Heiland” – BWV 659


 

BIBLIOGRAFIA:

ALLORTO R., Nuova storia della musica, Ed. Ricordi
BACH J. S., Choral-Gesange, Ed. Breitkopf & Hartel
BASSO A., Frau Musika. La vita e le opere di J. S. Bach, Ed. EDT
CARNELOS S., L’Orgelbüchlein di J. S. Bach, Ed. Armelin Musica
CARROZZO M. – CIMAGALLI C., Storia della musica occidentale, vol. 2, Armando Editore
CONFALONIERI G., Storia della musica, Accademia Edizioni
DARDO G. – DIONISI R. – TOFFOLETTI M., Studi sul corale, Ed. Zanibon
FORKEL J. N., Vita, arte e opere di Johann Sebastian Bach, Ed. Curci
HURÉ J., L’estethique de l’orgue, Ed. Leduc
KAISER U., Il corale nello stile di Heinrich Schütz e Johann Sebastian Bach, Ed. Rugginenti
LONG G., Johann Sebastian Bach il musicista teologo, edizioni Claudiana
MANARI R., Arte della registrazione, Ed. Carrara
MIRABELLI S., Dietrich Buxtehude, Ed. L’Epos
MORETTI C., L’organo italiano, Ed. Casa Musicale Eco
RADOLE G., Letteratura organistica dal Tre al Novecento, Ed. Carrara
RADULESCU M., Le opere organistiche di J. S. Bach: Orgelbüchlein, Nuova Editrice Cremonese
RESCIGNO E., Bach, Fabbri Editori
SANTUCCI P., L’opera omnia organistica di J. S. Bach, Ed. Bèrben
SCHWEITZER A., Bach il musicista poeta, ed. Suvini Zerboni
SEVERIN D., La registrazione organistica, Ed. Armenlin Musica
TERRY C. S., Bach, Ed. FME
WILLS A., L’organo, Franco Muzzio Editore




[1] Cfr. M. RADULESCU, Le opere organistiche di J. S. Bach: Orgelbüchlein, Nuova Editrice Cremonese,  pagg. 174 – 175.
[2] Cfr. P. SANTUCCI, L’Opera omnia organistica di J. S. Bach, edizioni Bèrben, pag. 121.
[3] Cfr. E RESCIGNO, Bach, Fabbri Editori, pag. 127.
[4] Cfr. A. BASSO, Frau Musika, EDT, vol. 2, pag. 604.
[5] Cfr. M. RADULESCU, Op. cit., pagg. 35 – 36.

Toccata e Fuga in Re minore – BWV 565


 
JOHANN SEBASTIAN BACH: Toccata e Fuga in Re minore – BWV 565

Il nome di Johann Sebastian Bach e l’organo stesso, per molti, è strettamente legato a questa famosissima composizione. Essa rappresenta una straordinaria manifestazione del Bach giovane, probabilmente anteriore anche al periodo di Weimar. Su questa composizione tanto ardita quanto ricca di un’immediata evidenza musicale, piena di effetto e straordinariamente dotata di un eclettismo stilistico che non evidenzia momenti di squilibrio né fratture interne, si è sviluppata gran parte della popolarità dell’opera organistica bachiana, sicuramente a scapito di altre composizioni che avrebbero meritato maggiore attenzione.
 
Essa è stata oggetto sia di trascrizioni o elaborazioni pianistiche (basti pensare a quelle di Tausig e di Busoni) che orchestrali (una fra tutte quella di Stokowsky). Tali trascrizioni hanno contribuito a deviare il corso logico di un’opera alla quale non si può né si deve chiedere l’esercizio di un ruolo incantatorio, magico, rituale, di un’opera cui non è lecito attribuire connotati di simbolo né, tantomeno, di summa. In realtà la pagina è una manifestazione dell’arte organistica della scuola della Germania del Nord i cui maggiori rappresentanti (Buxtehude, Bruhns, Reinken, Lübeck, ecc.) hanno avuto come obiettivo quello di risolvere il problema di un virtuosismo tanto più penetrante ed impressionante, quanto più costruito con mezzi semplici, di facile accesso, molto vicini ad un’arte improvvisativa che allontana da sé le grandi architetture formali e contrappuntistiche[1].
 
Questa composizione, di indubbia efficacia melodica, ha avuto, sicuramente, un suo grande successo anche all’epoca di Bach stesso il quale la  eseguiva nei suoi numerosi viaggi nelle piccole corti tedesche.

Il Pirro riscontra in questo brano una sorta di musica a programma ed afferma: “L’abbagliamento di due rapidi lampi, un colpo di tuono, rimbombante formidabilmente nelle ripercussioni di un accordo lungamente disgiunto, e sul fragore, accresciuto nella sua durata, di un pedale profondo: il vento, poi la grandine: siamo in un classico temporale”.

Meno descrittivo e più analitico è il commento di Philip Spitta il quale scrive: “Le parti costitutive sono passaggi intermittenti in stile recitativo, accordi ampiamente risonanti e passaggi continui sui differenti manuali, che sono ordinati in contrasto”[2].

Il debito di Bach nei confronti dei grandi Maestri della Germania del Nord, ma anche di altri toccatisti quali Frescobaldi, Pachelbel, Andrea e Giovanni Gabrieli è molto evidente: egli riesce a fare una grande opera di sintesi fondendo le brillanti e luminose trovate dei veneziani, coi pesanti e massicci disegni della scuola tedesca, le libere escursioni toccatistiche degli italiani, con il rigore dei fugati degli autori del Nord.
 
Il giovane Bach ha qui voluto dare una dimostrazione di potenza con l’utilizzo di tutti quegli artifici che esaltano la musica, non tanto per la forza dell’ispirazione quanto e soprattutto per quella esasperazione tecnica che unisce gli elementi più disparati del comporre: incisi vivaci, trilli squillanti, scale velocissime, terzine vorticose, silenzi ad effetto, accordi poderosi, note ribattute in contrattempo, ecc.. Nessuna elaborazione orchestrale, per questo, potrà mai rendere l’efficacia della potenza dell’organo le cui possibilità foniche sono tutte chiamate in causa, dalle piccole tenui mutazioni, fino alle grandiose sonorità prodotte dalle torri dei pedali[3].

L’estrema libertà con la quale si sviluppa la composizione rivela una struttura assai elementare la quale serve a darne un particolare connotato di drammaticità. Quello che maggiormente colpisce di questa composizione giovanile di Bach, tuttavia, non è tanto l’ardimento tecnico ed il suo carattere virtuosistico quanto il solenne dinamismo e la potente sicurezza timbrica con i quali la linea melodica viene continuamente arricchita.

Pur rimanendo negli stilemi caratteristici della grande scuola organistica della Germania del Nord, in questa composizione si riscontra una stupefacente fantasia. Il discorso musicale è sempre logico ed unitario, i passaggi si innestano vicendevolmente con grande maestria ed il gioco polifonico risulta essere sempre fresco e scevro da ogni rigore accademico.


Al carattere improvvisativo della toccata fa seguito il tema della fuga in sedicesimi capace di dare vita quasi ad un perpetuum mobile che conferisce all’opera un’animazione insolita. La fuga culmina con un episodio finale che, per caratteristiche, si richiama alla toccata.
 
La composizione, anche se è definita come un dittico, ha, di fatto, una struttura tripartita che si apre con una toccata cui fa da episodio centrale la fuga e si chiude con un definitivo episodio toccatistico.
 
  


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Partitura





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Toccata e Fuga BWV 565






 

BIBLIOGRAFIA:

ALLORTO R., Nuova storia della musica, Ed. Ricordi
BACH J. S., Choral-Gesange, Ed. Breitkopf & Hartel
BASSO A., Frau Musika. La vita e le opere di J. S. Bach, Ed. EDT
CARNELOS S., L’Orgelbüchlein di J. S. Bach, Ed. Armelin Musica
CARROZZO M. – CIMAGALLI C., Storia della musica occidentale, vol. 2, Armando Editore
CONFALONIERI G., Storia della musica, Accademia Edizioni
DARDO G. – DIONISI R. – TOFFOLETTI M., Studi sul corale, Ed. Zanibon
FORKEL J. N., Vita, arte e opere di Johann Sebastian Bach, Ed. Curci
HURÉ J., L’estethique de l’orgue, Ed. Leduc
KAISER U., Il corale nello stile di Heinrich Schütz e Johann Sebastian Bach, Ed. Rugginenti
LONG G., Johann Sebastian Bach il musicista teologo, edizioni Claudiana
MANARI R., Arte della registrazione, Ed. Carrara
MIRABELLI S., Dietrich Buxtehude, Ed. L’Epos
MORETTI C., L’organo italiano, Ed. Casa Musicale Eco
RADOLE G., Letteratura organistica dal Tre al Novecento, Ed. Carrara
RADULESCU M., Le opere organistiche di J. S. Bach: Orgelbüchlein, Nuova Editrice Cremonese
RESCIGNO E., Bach, Fabbri Editori
SANTUCCI P., L’opera omnia organistica di J. S. Bach, Ed. Bèrben
SCHWEITZER A., Bach il musicista poeta, ed. Suvini Zerboni
SEVERIN D., La registrazione organistica, Ed. Armenlin Musica
TERRY C. S., Bach, Ed. FME
WILLS A., L’organo, Franco Muzzio Editore




[1] Cfr. A. BASSO, Frau Musika, EDT, vol. 1, pagg. 493 – 494.
[2] Cfr. E. RESCIGNO, Bach, Fabbri Editori, pag. 88.
[3] Cfr. P. SANTUCCI, L’opera omnia organistica di J. S. Bach, Bèrben, pagg. 62 – 63.

Fantasia (Preludio) e Fuga in sol minore – BWV 542


 
 
JOHANN SEBASTIAN BACH: Fantasia (Preludio) e Fuga in sol minore – BWV 542

La Fantasia e Fuga in sol minore rappresenta un vero e proprio monumento di tutta l’arte organistica, in particolare, e tastieristica, in generale. La sua composizione si colloca in un periodo in cui Bach sta percorrendo una strada che lo porterà alla piena maturazione artistica, poetica e teologica. Le cronache dell’epoca ci parlano di un viaggio da lui compiuto ad Amburgo dove, nella chiesa di Santa Caterina, ha tenuto un concerto d’organo per le principali autorità locali. In quell’occasione, dopo aver suonato per circa due ore, Johann Sebastian, a grande richiesta degli intervenuti all’evento, concede un bis improvvisando secondo le diverse maniere, come un tempo erano abituati gli organisti amburghesi ai vespri del sabato per circa mezz’ora sulla melodia del corale An Wasserflussen Babylon (Sui fiumi di Babilonia) ed ottiene la grande ammirazione dell’ormai novantasettenne organista titolare di quella chiesa Jan Adam Reinken [1] il quale affermava: “Pensavo che quest’arte fosse morta, ma vedo che vive ancora in lei”.
 
L’occasione per questo viaggio di Bach ad Amburgo è stata, probabilmente, dettata dal concorso per il posto di organista nella succitata chiesa di Santa Caterina, vista l’ormai veneranda età del suo organista titolare. Se anche Bach non ha sostenuto la prova di concorso, ha, tuttavia, manifestato la sua abilità straordinaria sullo strumento di quella chiesa presentando la grande Fantasia e Fuga in sol minore. Nel breve soggiorno ad Amburgo Bach ripercorre, questa volta da protagonista, gli itinerari già percorsi in gioventù[2].

 
Il tema della Fuga, comunque, si trova già in una copia in possesso di Johann Tobias Krebs e risale ad un periodo di tempo che si può collocare intorno al 1714. Il tema della Fuga, inoltre, è presente, con qualche variante ritmica, in un trattato di JohannMattheson e si ispira alla melodia della danza olandese Ich ben gegroet. Tale tema è stato, inoltre, riproposto come prova di concorso per il posto di organista titolare per il duomo di Amburgo nel 1725. Se è possibile che la Fuga sia stata conosciuta negli ambienti di Amburgo già dal 1720, nulla di preciso si ha a disposizione per ciò che riguarda la Fantasia: in una ventina di fonti compare la sola Fuga, talvolta anche in un diverso impianto tonale, mentre la Fantasia risulta come composizione a sé stante in un’unica fonte, peraltro posteriore; in due soli casi i due brani sono uniti in un dittico, mentre in altri tre la loro fusione in un unico blocco non è sicura. Sulla costituzione di questo blocco e sulla datazione della Fantasia, tuttavia, non esistono prove apparenti, ma forse il primo membro del dittico appartiene ad un periodo anteriore, agli anni giovanili dunque[3].

Da un punto di vista prettamente formale la Fantasia conserva quel carattere di improvvisazione che negli antecedenti storici aveva lo scopo di controllare tecnicamente l’accordo degli strumenti mentre la Fuga si rifà, nella sua varietà tematica e nella sua linea melodica, alla tradizione vocale, con i suoi slanci tematici e le sue linee polifoniche.

La Fantasia si riallaccia in maniera decisiva all’antica prassi toccatistica dove le parti figurative si alternano a passaggi accordali e ad imitazioni. Nonostante l’incipit della Fantasia si richiami evidentemente allo stile di Buxtehude, in questa composizione ci troviamo in un mondo sonoro totalmente nuovo dove le voci di un maestoso coro costruiscono un mirabile dialogo. Albert Schweitzer riconosce nei recitativi che si susseguono nella Fantasia un “fracasso torrentuoso”.
 
 
Questo clima così complesso è dovuto sostanzialmente agli accordi ed al procedimento polifonico delle varie voci sostenute da un basso continuo[4]. In questo complesso apparato architettonico, carico di dissonanze e di tensioni, l’Autore riesce a toccare tonalità lontane per poi giungere ad una grandiosa cadenza finale preparata da un mirabile basso che procede cromaticamente prima di giungere alla dominante della tonalità d’impianto.

La Fuga presenta una struttura che si richiama ad un movimento di concerto dove gli sviluppi tematici coprono il ruolo del Tutti e gli interludi quello del Solo. Dopo l’esposizione e la contro esposizione del tema seguono gli sviluppi di elementi nuovi o secondari che si alternano, comunque, a chiari richiami del soggetto.
 
Nella parte centrale si assiste ad un assottigliamento della polifonia in quanto le voci si riducono prima a due e poi a tre. Nel prosieguo della composizione si assiste ad una successiva elaborazione delle imitazioni che portano ad un clima sempre più carico di tensione che sfocia negli stretti finali che conducono alla chiusa.

Questa composizione dà un senso di vertigine sonora che sembra che nasca dalle dita dell’esecutore. Nella struttura dei due pezzi che compongono questo dittico si riscontra una grande padronanza di una tecnica compositiva che si presenta nella sua più genuina freschezza.

 


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Partitura

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Fantasia

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Fuga

 

BIBLIOGRAFIA:

ALLORTO R., Nuova storia della musica, Ed. Ricordi
BACH J. S., Choral-Gesange, Ed. Breitkopf & Hartel
BASSO A., Frau Musika. La vita e le opere di J. S. Bach, Ed. EDT
CARNELOS S., L’Orgelbüchlein di J. S. Bach, Ed. Armelin Musica
CARROZZO M. – CIMAGALLI C., Storia della musica occidentale, vol. 2, Armando Editore
CONFALONIERI G., Storia della musica, Accademia Edizioni
DARDO G. – DIONISI R. – TOFFOLETTI M., Studi sul corale, Ed. Zanibon
FORKEL J. N., Vita, arte e opere di Johann Sebastian Bach, Ed. Curci
HURÉ J., L’estethique de l’orgue, Ed. Leduc
KAISER U., Il corale nello stile di Heinrich Schütz e Johann Sebastian Bach, Ed. Rugginenti
LONG G., Johann Sebastian Bach il musicista teologo, edizioni Claudiana
MANARI R., Arte della registrazione, Ed. Carrara
MIRABELLI S., Dietrich Buxtehude, Ed. L’Epos
MORETTI C., L’organo italiano, Ed. Casa Musicale Eco
RADOLE G., Letteratura organistica dal Tre al Novecento, Ed. Carrara
RADULESCU M., Le opere organistiche di J. S. Bach: Orgelbüchlein, Nuova Editrice Cremonese
RESCIGNO E., Bach, Fabbri Editori
SANTUCCI P., L’opera omnia organistica di J. S. Bach, Ed. Bèrben
SCHWEITZER A., Bach il musicista poeta, ed. Suvini Zerboni
SEVERIN D., La registrazione organistica, Ed. Armenlin Musica
TERRY C. S., Bach, Ed. FME
WILLS A., L’organo, Franco Muzzio Editore




[1] Cfr.  E. RESCIGNO, Bach, Fabbri Editori, pag. 102.
[2] Cfr. A. BASSO, Frau Musika, EDT, vol. 1, pag. 541.
[3] A. BASSO, Op. cit., vol. 2, pag. 574.
[4] Cfr. E. RESCIGNO, Op. cit., pag. 104.

martedì 7 giugno 2016

Preludio (Toccata) e Fuga in re minore “Dorica” – BWV 538



JOHANN SEBASTIAN BACH: Preludio (Toccata) e Fuga in re minore “Dorica” – BWV 538

 Il motivo dell’aggettivo “Dorica”, assegnato a questa composizione non da Bach ma dai suoi successivi editori, probabilmente risiede nelle intenzioni del suo autore di riprodurre un clima sonoro tipico degli antichi modi greci e gregoriani. In questa composizione si trova un chiaro riferimento al particolare sapore modale di alcuni suoi passi: il modo dorico è il primo modo nell’antica teoria musicale greca e nella successiva produzione gregoriana: la sua finalis è il re mentre la repercussio o dominante è il la. In questo modo abbiamo, di fatto, la moderna tonalità del re minore con il si che può presentarsi sia naturale che bemolle. Caratteristica ulteriore è l’assenza dei moderni semitoni artificiali. Alcuni studiosi hanno notato che tali semitoni artificiali, invece, sono presenti in questa composizione; questa affermazione si può facilmente obiettare soprattutto se si prende come riferimento il soggetto della Fuga. Anche se si richiama alla nostra scala di re minore naturale senza alterazioni, in pratica riproduce le caratteristiche proprie del protus autentico. Bach, di fatto, scrive in re minore. In alcuni passaggi, però, si nota una certa indeterminatezza tra la moderna tonalità e l’antica modalità; tale indeterminatezza costituisce uno degli aspetti più interessanti di questo dittico e rappresenta una valida giustificazione al suo titolo, anche se non è pienamente corretto su un piano squisitamente tecnico[1].

La questione riguardante la datazione di quest’opera rimane un problema ancora in fase di risoluzione. A disposizione non abbiamo l’originale di questa composizione ma varie copie risalenti alla metà del ‘700. In una di queste copie, originariamente attribuita a Michael Gotthard Fischer (1773 – 1829), allievo di Johann Christian Kittel, viene indicata come composizione eseguita dallo stesso Bach in occasione dell’inaugurazione del nuovo organo costruito nella chiesa di san Martino a Kassel, il 28 settembre 1732. Studi successivi hanno però dimostrato che tale copia è di Johann Gottfried Walther e che probabilmente questi la ha realizzata a Weimar ricavandola dall’autografo bachiano, prima del 1717[2]. L’unico elemento che si ha a disposizione per determinare la datazione di questa composizione è rappresentato da una accurata analisi stilistica e formale dell’opera la quale, però, presenta notevoli elementi contraddittori. Sotto certi aspetti la composizione si richiama alle grandi composizioni organistiche del periodo di Weimar.


Nel Preludio si riscontra quasi una certa volontà di mettere in atto tutte le risorse virtuosistiche dello strumento e dell’esecutore. Si apprezza, inoltre, un sapore tendenzialmente arcaico rappresentato non tanto dall’uso della modalità quanto piuttosto da un’architettura che richiama l’antica toccata, motivo per il quale il preludio viene chiamato Toccata.
 

Il Preludio o Toccata si basa su un tema che, a forma di canone, passa attraverso le varie voci. Il ritmo a semicrome ed il costante cambiamento a livello coloristico ottenuto dall’alternanza dei manuali con effetti quasi di eco, fanno di questa Toccata quasi un Concerto dove il solo si alterna al tutti. Le composizioni organistiche di Bach sono povere di indicazioni riguardanti l’uso dei registri o delle tastiere dell’organo: questo non succede nella Toccata Dorica, dove sono segnati con grande perizia i cambiamenti di tastiera. La stessa copia di Walther, di cui si è già detto sopra, riporta le indicazioni di Oberwerk e Positiv.
 

La Toccata si può suddividere in tre parti: nella prima parte il tema si sviluppa dalla tonica alla dominante; nella seconda il tema si evolve alla sottodominante; nella terza si riscontra un passaggio dalla sottodominante al suo relativo maggiore dal quale si ritorna finalmente alla tonalità di impianto. È da notare che la lunghezza della terza sezione equivale alla somma delle due sezioni precedenti.

Di tutt’altro sapore è invece la Fuga, nella quale si riscontrano evidenti richiami all’antica forma del ricercare. Ci troviamo adesso in un clima di rigore, austerità e compostezza. La Fuga ha le caratteristiche di una composizione vocale, quasi un lungo mottetto nel quale non trovano posto effetti coloristici particolari. La lunghezza di questa Fuga non ne pregiudica la varietà che viene, invece, esaltata da un sapiente e sottile gioco contrappuntistico.

 

Il Preludio (Toccata) e Fuga in re minore “Dorica” BWV 538 di Johann Sebastian Bach rappresenta un grande monumento della letteratura organistica dove si fondono la sperimentazione coloristica e la fine sapienza contrappuntistica del suo autore. L’esperienza sia dell’ascolto che dell’esecuzione di questo brano riserva sempre quelle grandi emozioni tipiche di quei capolavori che hanno fatto la storia della musica.
 
 
 
 
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Partitura


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Toccata


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Fuga



 



BIBLIOGRAFIA:

ALLORTO R., Nuova storia della musica, Ed. Ricordi
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BASSO A., Frau Musika. La vita e le opere di J. S. Bach, Ed. EDT
CARNELOS S., L’Orgelbüchlein di J. S. Bach, Ed. Armelin Musica
CARROZZO M. – CIMAGALLI C., Storia della musica occidentale, vol. 2, Armando Editore
CONFALONIERI G., Storia della musica, Accademia Edizioni
DARDO G. – DIONISI R. – TOFFOLETTI M., Studi sul corale, Ed. Zanibon
FORKEL J. N., Vita, arte e opere di Johann Sebastian Bach, Ed. Curci
HURÉ J., L’estethique de l’orgue, Ed. Leduc
KAISER U., Il corale nello stile di Heinrich Schütz e Johann Sebastian Bach, Ed. Rugginenti
LONG G., Johann Sebastian Bach il musicista teologo, edizioni Claudiana
MANARI R., Arte della registrazione, Ed. Carrara
MIRABELLI S., Dietrich Buxtehude, Ed. L’Epos
MORETTI C., L’organo italiano, Ed. Casa Musicale Eco
RADOLE G., Letteratura organistica dal Tre al Novecento, Ed. Carrara
RADULESCU M., Le opere organistiche di J. S. Bach: Orgelbüchlein, Nuova Editrice Cremonese
RESCIGNO E., Bach, Fabbri Editori
SANTUCCI P., L’opera omnia organistica di J. S. Bach, Ed. Bèrben
SCHWEITZER A., Bach il musicista poeta, ed. Suvini Zerboni
SEVERIN D., La registrazione organistica, Ed. Armenlin Musica
TERRY C. S., Bach, Ed. FME
WILLS A., L’organo, Franco Muzzio Editore

 




[1] Cfr. P.SANTUCCI, L’opera omnia organistica di J. S. Bach, Bèrben, 1976, pag. 46; E. RESCIGNO, Bach, Fabbri Editori 1979, pag. 116.
[2]  Cfr. A.BASSO, Frau Musika, EDT, 1987, vol. II pagg. 576 – 577.